Civ-Ashoah, un progetto europeo

Il progetto europeo “Civ-Ashoah”, coordinato da La Ligue de l’enseignement in collaborazione con ARCI (Italia) e Centro Taube (Polonia), mira a sensibilizzare i cittadini europei sulla Shoah offrendo una lettura transnazionale, storica e culturale del patrimonio della comunità ebraica ashkenazita.

L’obiettivo di questo progetto, cofinanziato dal programma europeo “Cittadini, Uguaglianza, Diritti e Valori”, è rinnovare l’approccio e la comprensione della Shoah e delle sue conseguenze. In risposta alle diverse forme di antisemitismo osservate nelle società europee, il progetto cerca di mettere in prospettiva l’eredità culturale delle comunità ebraiche europee a partire dal racconto della memoria della comunità ebraica ashkenazita. Più in generale, da un lato mira a sottolineare i pericoli rappresentati dal rifiuto e dall’odio nei confronti delle altre comunità e, dall’altro, a promuovere i valori di tolleranza, rispetto e convivenza.

Con questo obiettivo, il progetto ha previsto l’organizzazione di una serie di eventi aperti al pubblico che hanno coinvolto in particolare fasce giovanili, per far conoscere loro la storia e la cultura della comunità ashkenazita, in gran parte sconosciuta al pubblico.

Il progetto Civ-Ashoah ci ricorda che la seconda guerra mondiale fu teatro di un genocidio che causò la scomparsa di gran parte degli ebrei europei e della cultura di cui erano portatori. Questo progetto celebra, quindi, questa memoria e ha l’obiettivo di evidenziare la ricchezza e l’importanza di questa cultura.

Per questo motivo, questo sito web propone diversi tipi di risorse in diverse lingue (inglese, francese, italiano, polacco) per scoprire le diverse componenti della cultura ashkenazita: specialità culinarie, musica, letteratura, tradizioni, eventi culturali e altro ancora.

Introduzione al tema

A cura di Cécile ROUSSELET (dottore di ricerca in letteratura comparata, specialista in yiddish e russo), e Guido FURCI (docente di letteratura comparata presso l’Université Sorbonne Nouvelle – Sorbonne Alliance),

Qual è la storia del popolo ashkenazita?

Per comprendere la storia degli ashkenaziti, dobbiamo risalire alla fine dell’antico stato ebraico nel Regno di Giuda nel 586 a.C.

Per mille anni, gli ebrei vissero principalmente in oriente, poi, con il diffondersi della persecuzione, le comunità si spostarono dall’oriente all’occidente. All’epoca le comunità ebraiche si trovavano in Germania, Francia, Nord Italia e Spagna. Inoltre, in tutta Europa, i mercanti ebrei avevano un ruolo rilevante. Ma a poco a poco, gli ebrei furono progressivamente confinati in distretti separati (ghetti), stigmatizzati e infine espulsi. Accadde questo alle comunità ebraiche in Francia nel 1394 e in Spagna nel 1492.

Gli ebrei ashkenaziti, in particolare, erano gli ebrei che in questo periodo migrarono dalla Francia e dalla Germania verso l’Europa centrale e orientale (Polonia, Lituania, Ucraina, Bielorussia, ecc.). Le altre due principali comunità ebraiche sono i sefarditi (popolazioni ebraiche espulse dalla Spagna e stabilitesi in Turchia e in Terra Santa) e i mizrahim (che si stabilirono in Medio Oriente, Nord Africa, Caucaso e Asia centrale).

Gli ashkenaziti parlavano in lingua yiddish e nel XVI secolo rappresentavano un decimo della popolazione. Vivevano in piccoli insediamenti, chiamati “shtetl” e fungevano da intermediari tra la nobiltà e i contadini e fondarono una erudita cultura ebraica. Questa fase di prosperità terminò con la rivolta dei cosacchi ucraini di Khmelnytskyi nel 1648: per due anni gli ebrei subirono saccheggi e massacri e più di 100.000 persone furono uccise.

Nel XVIII secolo, gli ebrei ashkenaziti ottennero gradualmente pari diritti. Lo spirito del movimento illuminista ha fortemente influenzato la Haskalah, una parola che significa “istruzione”. I suoi fautori promossero le nuove scienze e l’idea di tolleranza, e incoraggiarono l’inserimento degli ebrei nelle popolazioni circostanti.

Il secondo movimento di emancipazione (chiamato la seconda “Haskalah”) iniziò intorno al 1815. Gli ebrei ashkenaziti, in favore dell’assimilazione, rinunciarono rapidamente alle loro particolarità linguistiche e culturali.

Il XIX secolo, però, vide anche la crescita del moderno antisemitismo. Gli ebrei erano visti come appartenenti a una razza inferiore.

In ragione di questa opinione, largamente condivisa, in Ucraina iniziarono i pogrom, cioè aggressioni, saccheggi e massacri di ebrei operati dai cristiani, senza che ci fosse alcuna reazione da parte delle autorità. Ad esempio, il pogrom di Chisinau nel 1903, che occupa un posto di rilievo nella letteratura yiddish ed ebraica del Novecento (come nell’opera del poeta Hayim Nahman Bialik). Furono pubblicati diversi testi antisemiti: “La France juive” (1886) di Édouard Drumont, o i “Protocolli dei savi di Sion” (1904), secondo i quali si stava ordendo una cospirazione ebraica internazionale per schiavizzare i paesi cristiani. Questa fu la fine dello shtetl. Gli ebrei emigrarono in massa in Occidente e nel Nord America (la popolazione ebraica degli Stati Uniti passò da 275.000 nel 1875 a 3 milioni nel 1914) e il sionismo continuò a crescere. Dopo le elezioni in Germania del 1933, Adolf Hitler guidò la “soluzione finale della questione ebraica”: sei milioni di ebrei furono assassinati nei lager. Al tempo stesso, in URSS, dopo una campagna per promuovere lo yiddish, tra il 1937 e il 1952 Stalin fece uccidere numerose personalità ebraiche.

Oggi esistono ancora diverse comunità ashkenazite in tutto il mondo (a New York nel distretto di Williamsburg, in Israele, in Argentina e nella maggior parte delle città europee), ma le persecuzioni del XX secolo hanno decimato la maggior parte della popolazione.

La cultura ashkenazita è molto ricca, e si distingue per i suoi molti artisti e le sue particolarità. Qui presentiamo solo alcuni dei suoi tratti salienti.

Che cos’è la lingua Yiddish?

Lo yiddish era la lingua principalmente usata dagli ebrei ashkenaziti alla fine del X secolo. A seconda del periodo, è stata chiamata con nomi diversi: alcuni testi antichi parlano di “taytsh” (che significa “tedesco”); antiche fonti rabbiniche in ebraico la chiamano “lingua di Ashkenaz” (“lingua della Germania”); i critici, in particolare all’inizio del XX secolo, lo chiamano “giudeo-tedesco”. Nonostante queste differenze, il termine “yiddish”, aggettivo derivato dalla parola “yid” (ebraico), è divenuto il termine usato per descrivere questa lingua, che è scritta da destra a sinistra e utilizza i 22 caratteri dell’alfabeto ebraico, ad alcuni dei quali viene assegnato un valore vocale da segni diacritici (diversamente delle lingue semitiche, incluso l’ebraico).

La sua comparsa all’inizio degli anni 1000 fu dovuta al fatto che, già prima dell’era cristiana, l’ebraico era una lingua religiosa e non una lingua parlata.

Altre lingue, quindi, presero il suo posto nella vita di tutti i giorni: prima il giudeo-aramaico (che ben presto si unì all’ebraico come lingua di studio e di scrittura), poi il giudeo-spagnolo, il giudeo-arabo e soprattutto lo yiddish. Questi idiomi sono quindi il risultato di una fusione tra l’ebraico-aramaico, le lingue delle popolazioni in cui si stabilirono gli ebrei, e le tracce di una precedente lingua ebraica, che seguì le comunità quando migrarono.

Nel caso dello yiddish, quindi, si tende a considerare che, a seconda della regione in cui la lingua è usata, contenga dal 70 all’80% di elementi di origine medio-alto tedesca, dal 15 al 25% di origine ebraica e dal 5 al 10% di origine slava.

Infatti, più ci si avvicina all’Europa orientale, maggiore è la quantità di parole di origine slava e viceversa.

Va sottolineato che le parole yiddish di origine aramaica ed ebraica sono per lo più scritte secondo il sistema ebraico tradizionale.

Infine, la sua sintassi è piuttosto simile a quella della costruzione della frase tedesca, anche se tende a ridurre la distanza tra i vari elementi che ne compongono i gruppi nominali e verbali.

Per concludere, negli shtetl yiddish coesistono due lingue: l’ebraico, la lingua scritta della liturgia e dello studio, e lo yiddish, la lingua parlata della vita quotidiana, che gli è valsa il soprannome diffuso di “mame-loshn” (“lingua della madre”) – a volte anche sostituendo il sostantivo “Yiddish”, in certe occasioni.

Oltre all’ebraico, lo yiddish è la lingua ebraica che si è sviluppata più rapidamente ed è stata parlata in un’area geografica più vasta. Prima della seconda guerra mondiale contava undici milioni di parlanti.

Dopo la Shoah e in seguito al fatto che molti ebrei hanno rinunciato alle loro particolarità culturali e linguistiche, lo yiddish non è più diffuso come una volta. Tuttavia, molte comunità, in particolare negli Stati Uniti e in Israele, stanno tramandando questa lingua alle generazioni successive al 1945, facendo sì che continui a essere parlata e appresa da studenti di tutte le età, sia in contesti accademici che in contesti informali, tra cui la Maison de la culture Yiddish e il Centre Medem-Arbeter Ring, solo per citarne alcuni a Parigi.

E a proposito di arte e letteratura Yiddish?

Letteratura

La letteratura yiddish è un riflesso delle persone che la usano, e della loro lingua: è, quindi, una letteratura diasporica e fusion, estremamente “malleabile”, come l’ha definita Rachel Ertel nella sua introduzione all’antologia Royaumes Juifs. apparve nel XIII secolo come contraltare al corpus dei testi sacri, e si rivolgeva alle masse ebraiche che non avevano accesso all’ebraico, ovvero alle donne e alle fasce meno istruite. Si tratta quindi soprattutto di una letteratura popolare, complementare, che emerse nelle comunità della Renania, ed era estremamente ricettiva nei confronti delle opere europee dell’epoca.

Ci sono quattro distinti corpus di opere: nel primo troviamo materiale di ispirazione germanica, episodi adattati da fonti epiche come Tristano e Isotta, o storie con personaggi eroici e cortesi – come, ad esempio, nel romanzo cavalleresco Le Livre de Bovo di Elie Levita. Il secondo corpus tratta di episodi biblici o midrashici, come la storia di Ester, Giobbe o Isacco. Il terzo è un’epopea con un contenuto storico: si tratta di grandi poemi sulla sofferenza ebraica, riferiti a una particolare comunità o del popolo ebraico nel suo insieme. Infine, il quarto corpus di testi è carnevalesco, ispirato ai Rotoli di Ester, commedie influenzate da farse comiche medievali, rappresentate durante la festa di Purim. Dal XIV secolo in poi, la letteratura yiddish ha svolto un ruolo secondario, tanto educativo quanto estetico. Lo scopo era quello di contrastare l’ignoranza, da ciò la proliferazione di libri sulla morale e adattamenti di testi biblici, come la Tsenerenè, soprannominata “La Bibbia delle donne”.

Il XVIII secolo vide l’inizio di un cambiamento: con la Haskalah apparve una moderna letteratura yiddish, scelta dagli intellettuali come veicolo di cambiamento sociale. Sono emerse due nuove letterature, una in ebraico e una in yiddish, spesso usate dalle stesse persone, che sceglievano la loro lingua in base ai loro lettori, al pubblico e al linguaggio. Aperta alle scienze moderne e diffusa dalla stampa, che divenne una parte sempre più importante della cultura yiddish a partire dal XVII secolo, portava i semi di nuove idee sociali.

La letteratura yiddish classica è nata nell’ultimo terzo del XIX secolo. Si ritiene che ci siano tre “nonni” di questo tipo di letteratura: Mendele Moykher Sforim, Sholem Aleikhem e Itskhok Leybush Peretz, il più sensibile alle influenze europee.

Dal 1910 in poi, Varsavia ha rappresentato il cuore della scena culturale yiddish. Il modernismo fiorì lì, al crocevia della modernità russa, tedesca, americana e parigina. La rivista Khaliastra, gli esperimenti espressionisti di Isroel Rabon e la poesia di Peretz Markish e Uri-Zvi Greenberg raccontano questo movimento.

Negli Stati Uniti la stampa pubblicava romanzi e racconti, come quelli di Joseph Opatoshu, che descriveva la vita cittadina americana, o di Sholem Asch, uno dei grandi creatori del mito bucolico dello shtetl nel 1905. Secondo Rachel Ertel, anche il teatro era estremamente vivace, spaziando dal melodramma e dalla predicazione al cabaret.

In Russia, l’irruzione della modernità è un tema onnipresente nella letteratura. In effetti, David Bergelson era famoso per aver raffigurato il declino dello shtetl, e Der Nister, in racconti al limite del fantastico, fondeva testi esoterici ebraici con il folklore occidentale e slavo. Dopo la rivoluzione del 1917, molti autori yiddish dovettero fare i conti con gli imperativi della scrittura proletaria e socialista, come Moyshe Kulbak in The Zelminians.

Il periodo tra le due guerre ha incoraggiato la produzione di affreschi storici e saghe familiari, come il libro di Israel Joshua Singer, The Ashkenazi Brothers (1936), in cui i temi della guerra, della modernizzazione della società, dell’ascesa del socialismo e dell’esodo rurale hanno portato alla creazione di un immaginario mitico dello shtetl scomparso.

Dopo il 1945, gli ebrei furono chiamati a scrivere la loro storia, a ricordare (“Zakhor. Storia ebraica e memoria ebraica”, è il libro fondamentale in cui Yosef H. Yerushalmi risponde a una domanda decisiva: che cosa gli ebrei hanno scelto di ricordare del loro passato e in che modo lo hanno, di volta in volta, preservato, trasmesso e rivissuto). Lo sterminio del popolo ebraico è stato raccontato principalmente attraverso la poesia, ad esempio in “Song of the Murdered Jewish People”, di Yitskhok Katzenelson. La dispersione degli ebrei, dopo l’annientamento e lo sterminio degli scrittori ebrei sovietici in URSS, fece sorgere nuovi centri di creazione letteraria: in Israele (si pensi a Leyb Rokhman o Avrom Sutzkever) e a New York (Yitskhok Bashevis Singer, Premio Nobel Premio per la letteratura nel 1978).

Oggi ci sono scrittori israeliani che scrivono in yiddish, nonostante il fatto che lo Stato di Israele abbia dato priorità nazionale all’ebraico (vedi l’interessantissimo libro di Rachel Rojanski, Yiddish in Israel: A History).

Arti pittoriche

Poiché il secondo comandamento dell’Esodo vieta la creazione di immagini, i primi oggetti artistici ebraici erano principalmente cerimoniali (candelieri e candelabri, ecc.). Le miniature su manoscritti religiosi sono apparse nel XV secolo, la pittura artistica ebraica è un fenomeno iniziato molto più tardi con la modernità. Durante il XIX secolo, pittori e scultori ebrei entrarono nei circoli artistici europei, spesso dipingendo scene di genere tratte dall’esperienza ebraica nei villaggi, o paesaggi che non avevano traccia di vita nello shtetl. Per tutto il Novecento, la vita ebraica è stata messa in scena e persino carnevalizzata dai pittori in Europa dell’Est o a Parigi (dove molti artisti, tra cui Marc Chagall, emigrarono a partire dal 1900, esponenti del cosiddetto movimento della “Scuola di Parigi”). In Russia, dopo la Rivoluzione, i pittori ebrei (soprattutto coloro che provenivano dal “piccolo ghetto” di Mosca), realizzarono, come i loro omologhi non ebrei, opere non figurative con elementi di critica sociale.

Musica

Klezmer (una parola derivata dall’ebraico “kley”, strumento musicale, e “zemer”, canto o melodia) è una tradizione musicale degli ebrei dell’Europa orientale, le cui origini si ritiene siano la musica dell’Europa centrale e orientale e del Medio Oriente. Queste melodie e canti apparvero nel XV secolo e si svilupparono parallelamente alla pratica della musica religiosa (preghiere cantate e recitate). Si trattava principalmente di pratiche orali, pertanto la musica ebraica dell’Europa orientale non fu trascritta o registrata fino alla fine del XIX secolo. Con la crescente urbanizzazione, la musica ebraica dalle piccole comunità si è spostata in spazi per spettacoli. Dopo il 1945, gli emigranti ebrei (ad esempio negli Stati Uniti) fecero della musica klezmer una delle forme di testimonianza della sopravvivenza della cultura ebraica.

Oggi esistono ancora diverse comunità ashkenazite in tutto il mondo (New York a Williamsburg, Israele, Argentina e nella maggior parte delle città europee) e la lingua yiddish continua a essere parlata e imparata da studenti di tutte le età, sia in contesti accademici che in contesti informali, come la Maison de la Culture Yiddish o il Medem-Arbeter Ring Centre, per citare solo i centri parigini.